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Bunker Hill, rivive a Lucca C&G.

Ritratto di iNvernomuto
Personalmente non amo i giochi elettronici, ma questo evento ha una rilevanza che penso vada oltre il gioco elettronico. La Ubisoft, casa editrice di videogame, ha scelto Lucca per l’evento correlato all’uscita del terzo capitolo di Assassin's Creed III. Un evento che durerà ben due giorni e che farà rivivere la battaglia di Bunker Hill. Duecento reenactor professionisti, che arrivano a Lucca da tutto il mondo, saranno divisi nei due schieramenti che si fronteggiarono nel 1775. Inglesi e americani si accamperanno sotto le mura, dove vivranno, dormiranno, si alleneranno, mangeranno il rancio, fino ad arrivare alla battaglia, combattuta come allora. Oltre a questa rivisitazione, Connor – il nuovo assassino – sarà protagonista anche di un intero padiglione, allestito in piazza San Michele, mentre i palazzi storici e le mura rinascimentali saranno lo sfondo per le proiezioni che raffigureranno i protagonisti del videogame.
 
Un bel copia incolla da “anticafrontierabb.wordpress.com” per le note storiche…
Quando, poco dopo mezzogiorno, gli Inglesi cominciarono a ritornare verso Boston, essi non si rendevano conto di star cedendo non di fronte a un pugno disordinato di miliziani, ma in realtà sotto la spinta della insurrezione popolare. Se anche, per ipotesi, fossero riusciti a varcare il ponte di legno, avrebbero presto trovato un altro villaggio in mano ai “ribelli”, poi un altro, poi un altro ancora. Qualsiasi esercito “regolare”, anche il meglio addestrato, era del tutto impotente di fronte a una cosa del genere.
E questo non tardò ad apparire chiaro già nella marcia di ritorno: ora i guerriglieri ricomparvero sui fianchi e alle spalle della colonna, sparando a bruciapelo da dietro gli alberi e i muri, tirando sulle avanguardie e poi scomparendo, catturando i ritardatari, abbattendo gli sbandati. La marcia diventò rapidamente qualcosa di molto simile a una ritirata e poi a una rotta: e fu solo con il favore delle tenebre che gli esausti soldati trovarono scampo entro le mura di Boston, con i “ribelli” trionfanti alle loro calcagna. Il prezzo della ritirata era stato gravissimo: 261 tra morti, feriti e dispersi, contro solo 13 nelle due azioni di Lexington e Concord.
Adesso la spiacevole verità apparve chiara davanti agli occhi di Gage: le truppe inglesi non potevano più mettere il naso fuori da Boston. Praticamente erano assediate. Di fatto lo furono solo pochi giorni dopo, quando un esercito di miliziani della Nuova Inghilterra apparve e cominciò a circondare la città. Il 10 maggio 1775 una banda di miliziani si impadronì con un colpo di mano dell’ormai inutile forte Ticonderoga, sul lago Champlain, catturandovi 60 cannoni che furono subito inviati a formare il parco d’artiglieria per le forze che assediavano Boston. La lotta armata rivoluzionaria degli Americani stava insensibilmente passando alla seconda fase: quella in cui comincia a sorgere l’esercito popolare il quale trova, sì, il suo appoggio, la sua base di reclutamento, i suoi fiancheggiatori nei guerriglieri: ma che, a differenza di questi ultimi, è capace di condurre operazioni offensive contro un esercito “regolare”, e di batterlo.
A Londra intanto si cominciava a capire che quanto accadeva in America era ben più che una “ribellione”; ma ci si continuava a illudere circa le possibilità di una repressione rapida. E poiché Gage non concordava, ci si decise a sostituirlo. Non repentinamente, certo: ma piuttosto con un gesuitico promoveatur ut amoveatur, “promuovere per rimuovere”. Dapprima egli fu “affiancato” da altri; poi la sua autorità divenne sempre più nominale; infine, nell’ottobre del 1775, fu richiamato in Inghilterra per “consigliare” il re.
I suoi sostituti erano arrivati sin dal 25 maggio: in tale giorno infatti i generali William Howe, John Burgoyne e Henry Clinton erano sbarcati a Boston. Più giovani di Gage, energici, ambiziosi, i tre erano combattenti della guerra dei Sette anni. Quel che più conta, erano tutti convinti che l’esercito di sua maestà britannica non poteva oltre tollerare di essere “assediato” da un pugno di “ribelli”. Sotto la loro spinta Gage (che per il momento era ancora al comando) sviluppò di malavoglia un piano per sconfiggere gli assedianti. Le truppe inglesi migliori, al diretto comando di Howe, sarebbero sbarcate ai piedi di Bunker Hill, una collina che domina la rada di Boston, e l’avrebbero espugnata; da qui avrebbero “arrotolato” la linea d’assedio, prendendola sul fianco.
Così il 17 giugno 1775 i reggimenti britannici sbarcarono e, schierati impeccabilmente in linea, secondo la tattica che Federico il Grande aveva imposto su tutti i campi d’Europa, mossero all’attacco sparando salve (inutili) di fucileria. Ma gli Americani comandati dal colonnello William Prescott, un agricoltore, in violazione di tutte le buone norme contenute nei manuali tattici si tennero al riparo di una trincea e non aprirono il fuoco finché le “giubbe rosse” non furono a un centinaio di metri. L’effetto fu terrificante; gli Inglesi caddero a grappoli; oscillarono senza rompere i ranghi; poi arretrarono. Risolutamente Howe li spinse avanti per la seconda volta. Fu lo stesso. Solo il terzo attacco riuscì, e unicamente perchè gli Americani avevano esaurito le munizioni. Bunker Hill fu presa, ma rimase un trofeo inutile: le perdite erano state tali che si dovette abbandonare ogni prospettiva di rompere l’assedio. Più importante ancora, i generali inglesi poterono rendersi conto che avevano a che fare con un nemico accanito e pericoloso. Burgoyne ammise che la ritirata degli Americani da Bunker Hill non divenne mai una fuga: “fu coperta con coraggio e anche con perizia”; Clinton, più drasticamente, disse che la vittoria era stata pagata a caro prezzo: “un’altra simile ci avrebbe distrutti”.
 
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